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Lettera al futuro

Carissimi ragazzi,

vi voglio raccontare una storia. Vera

Nel 2020 andavo alla scuola secondaria di primo grado, frequentavo la classe terza e dovevo affrontare i “temuti” esami. Era febbraio quando una forte epidemia, prima contratta in Cina, arrivò in Italia. Era il 22 febbraio. Le feste di carnevale erano alle porte e tutti si stavano rilassando. Telegiornale della sera: un caso di coronavirus arriva in Italia. Le scuole vengono chiuse quando il Coronavirus inizia a diffondersi in Lombardia. Quando è arrivata la notizia che si sarebbe stati a casa da scuola una settimana per evitare il contagio. Tutti eravamo felici! Ma chi avrebbe saputo che quella settimana si sarebbe trasformata in quasi 2 mesi? Nessuno lo avrebbe immaginato. Dopo varie settimane iniziò a farsi sentire la voglia di andare a scuola, ma non si poteva. Iniziammo ad utilizzare la tecnologia digitale, ovvero un modo per rimanere uniti anche in quel momento molto difficile per noi italiani perché l’Italia, il lavoro, le scuole non potevano rimanere inattivi quindi si iniziò a lavorare da casa. Per gli adulti si mette in pratica lo Smart Working ovvero il lavoro da casa mentre noi studenti iniziavamo a sperimentare il Distance Learning cioè l’apprendimento a distanza attraverso la didattica digitale. Si iniziò a sperimentare le videolezioni, mi ricordo che la prima a cui ho partecipato era con il mio prof di musica, il mitico prof Mussini che, nonostante fosse ovvio che non avremmo fatto lo spettacolo di fine anno, voleva a tutti i costi andare avanti ad imparare a suonare dei brani con il flauto. È stata un’esperienza molto divertente e nuova per noi che eravamo abituati ad essere seduti sui banchi di scuola. Ma non è tutto! Oltre alle videochiamate i nostri professori organizzavano dei paldet, delle piattaforme digitali, in cui tutti i ragazzi potevano scrivere, condividere e lasciare commenti sui post che i professori condividevano. Nonostante possa sembrare divertente non lo era perché la mancanza di un confronto si faceva sentire, c’era molto disordine, ricordo, e non si riusciva a stare al passo coi tempi soprattutto perché i miei compagni non erano molto bravi a “smanettare” sul computer, infatti dovevo sempre aiutarli, via chiamata perché non ci si poteva incontrare. La nostra professoressa ci definiva “nativi digitali” anche se noi molto spesso eravamo più bravi degli adulti ad aggirarci per i siti internet. Me la cavai molto bene ad affrontare questo esperimento anche se preferivo di gran lunga andare a scuola, stare nella mia classe e parlare direttamente con i professori.

Mi ricordo di avere scritto un piccolo pensiero per il nostro Magazine d’Istituto, attivo anche se tutti distanti, vi condivido il mio pensiero in quanto, anche se sono vecchia ormai, lo ricordo bene.

 

“Coronavirus: Italia in quarantena! Tutta la nostra bella penisola isolata. Tutti i nostri tesori negati alla vista delle persone. Paura. Tutti la proviamo, timore di ammalarsi, che si ammalino gli amici, che si ammali un parente. Il contagio è dietro l’angolo. Ma dobbiamo essere forti! In questi giorni sta spopolando l’hashtag “IORESTOACASA!”, dobbiamo restarci per tutelare noi, le nostre famiglie e i nostri amici. Non sappiamo quando e se si risolverà questa epidemia ma non ci resta che sperare.”

 

Rimanendo a casa e sopportando tutte quelle che possono essere le difficoltà nella vita scolastica a casa siamo riusciti a superare questo periodo. Non ho dato molto l’idea di come si stava a casa, di cosa si provava, ma vi assicuro che essere costretti a stare tra quattro mura non è semplice.

Possiamo però dire che l’Italia ce l’ha fatta! E dovete essere orgogliosi della vostra patria perché siamo una nazione straordinaria e molto unita! È stato un momento magico quando abbiamo detto: “Ce l’abbiamo fatta!”. Tutti potevano uscire, rivedere gli amici, i parenti lontani, tornare a scuola o a lavoro. Proprio in quel periodo, il 17 marzo, era il mio compleanno e ho dovuto passarlo solo con la mia famiglia e senza regali poiché tutti i negozi erano chiusi e non si poteva uscire. Ero molto triste ma poi, dopo esserne uscita sana insieme alla mia famiglia, ho capito subito di aver fatto bene a non festeggiare con le mie amiche. Ma questo non è importante. I fantastici medici di quel tempo sono riusciti a trovare una cura e un vaccino per curare e prevenire il contagio.

Ripeto questo perché era una frase che risuonava tra le vie di ogni paese: “Ce l’abbiamo fatta!”

Ce la farete anche voi a superare qualsiasi difficoltà rimanendo uniti!

#IOERORIMASTAACASA.

Un saluto e un bacio a tutti voi!

Gloria

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Gloria Lanfranchi 

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