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LA DURA LEZIONE DEL COVID

Orietta Vighini è una donna molto impegnata nel suo lavoro fuori casa, ma non ha un attimo di sosta nemmeno quando è a casa. Orietta Vighini è soprattutto la mia mamma, e qui ci racconta i suoi giorni alle prese con l'emergenza Covid e le esigenze lavorative

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Qual è il tuo lavoro? Di cosa ti occupi?

 

Attualmente svolgo il lavoro di Informatore Farmaceutico del Farmaco – ISF - e mi occupo di informazione scientifica presso i medici specialisti cardiologi, diabetologi ed endocrinologi che operano nelle strutture ospedaliere delle provincie di Mantova, Cremona, Lodi, Brescia e parte sud di Milano. Il mio lavoro consiste nell’informare la classe medica tramite la presentazione del meccanismo d’azione del principio attivo, degli studi che ne hanno validato l’efficacia, quindi effetti benefici per la patologia per cui è autorizzato l’uso, le interazioni con altri farmaci, le controindicazioni. Altra cosa molto importante è la raccolta delle eventuali dichiarazioni di reazioni avverse che un paziente potrebbe avere che non sono indicate sul foglietto illustrativo: questa operazione si chiama di farmacovigilanza e viene effettuata per garantire la salute dei pazienti, in considerazione che gli studi, la sperimentazione scientifica, verifica clinica non possono prevedere le innumerevoli infinite variabili soggettive che potrebbero verificarsi nel complessissimo, ma perfetto, corpo umano

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Quando hai deciso che avresti svolto questo lavoro?

 

Mah... è stato un caso! Al termine della Laurea in Scienze Biologiche a Parma, ho lavorato con contratti stagionali per molti anni presso il laboratorio di controllo qualità in una azienda di trasformazioni alimentare in provincia di Parma, con turni massacranti anche notturni costituendo, comunque un bagaglio di conoscenze di laboratorio piuttosto corposo. Quindi ho proseguito poi con il dottorato di ricerca presso veterinaria (... fare la veterinaria era il mio sogno!!!); successivamente ho intrapreso per alcuni anni il lavoro di ricercatrice presso i laboratori universitari di farmacologia di Parma: facevamo ricerche su come limitare la riproduzione dei piccioni per varie multinazionali, fra cui una italiana ed una giapponese. Durante le varie riunioni con i capi settore delle aziende coinvolte, mi è stata fatta la proposta dalla ditta nipponica di svolgere il lavoro di informazione scientifica nel settore umano, non nel veterinario. Il lavoro di laboratorio mi piaceva, ma mi stava un po' stretto: provette, becker, bunsen, reagenti, odore, a volte nauseante, molto acre di acido che penetrava nelle narici nonostante si lavorasse “sempre sotto cappa” (praticamente quelle strutture in vetro che vediamo ora in tv quando inquadrano i laboratori). Quindi, dopo qualche giorno di riflessione, ho accettato la proposta della ditta giapponese, poi una volta nel settore, ho sostenuto altri colloqui selettivi ed alla fine… eccomi qua!

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In questo periodo così difficile e drammatico per il nostro Paese, com’è cambiato il tuo lavoro?

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Dopo il primo periodo in cui gli appuntamenti con i medici erano dilazionati e sempre mantenendo le distanze di sicurezza, con l’aggravarsi della crisi sanitaria, sono state sospese tutte le attività di informazione scientifica nelle strutture ospedaliere per salvaguardare la nostra salute, la salute degli operatori sanitari e per non intralciare le attività straordinarie dei nosocomi. Quindi l’azienda ha deciso di lavorare in smart working e formazione on line. Aggiornamento che già veniva svolto prima, ma ora è stato di gran lunga più intenso.

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Come è cambiata la tua giornata e la scansione del tempo?

 

All’inizio non è stato facile, sono abituata ad essere in giro tutto il giorno, io con la compagnia della radio dell’auto, le telefonate con i colleghi, con i medici, con gli organizzatori di eventi, in quanto mi occupo anche di organizzare corsi di aggiornamento per la classe medica. I nostri aggiornamenti scientifici li potevo fare utilizzando la nostra piattaforma aziendale, in qualsiasi momento della giornata che per me era di solito la notte fonda o la mattina presto, quando nessuno mi disturbava ed ero concentrata; ora invece, le call conference e le web conference sono costretta a farle secondo gli orari stabiliti dall’azienda... quindi, a casa siamo TUTTI COLLEGATI! Con tutte le difficoltà di rete che ormai in questi giorni stiamo constatando. All’inizio un delirio…

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Quale contributo pensi di dare attraverso il tuo lavoro?

 

Attualmente sono in contatto telefonico con quasi tutti i miei interlocutori, sia per supporto morale, perché la mia attività è un lavoro basato anche sulle relazioni interpersonali, ma anche per “supporto scientifico”, mi chiedono infatti se possono dare un determinato farmaco in una certa tipologia di paziente, il dosaggio e modalità di somministrazione, se abbiamo notizie aggiornate e utili su eventuali rimedi per questo morbo…

Quando tutto questo sarà finito e rientreremo sul campo... non so. Troveremo sicuramente medici ed infermieri distrutti psicologicamente e fisicamente, ospedali modificati nella loro organizzazione di reparti, di tempistica, di modalità di accesso agli studi medici (non oso pensare quando rimetterò piede al San Raffaele, che già è enorme di suo, chissà cosa troverò... mi perderò sicuramente!!!)

 

Secondo te, è cambiato il modo in cui il tuo lavoro viene percepito e considerato dalle persone?

 

I primi anni la mia attività era rivolta al medico di famiglia e, tutte le volte che entravo in un ambulatorio con la valigetta, le prime parole che mi venivano dette, dopo il mio saluto, erano: ”Ussignur an viasadur?! Ma adesso devo entrare io! Non entrerà lei che è appena arrivata? Io devo andare a casa a preparare il pranzo…” e magari erano le 8 del mattino!!!

Spesso si spara a zero sulle industrie farmaceutiche, sulle loro attività di ricerca, sui costi dei farmaci sulla sperimentazione scientifica, sui vaccini (quanta polemica a riguardo!!) e tutto ciò che ne consegue. Non voglio entrare nel merito e fare polemica ma, in questo momento drammatico che investe tutto il mondo, bisogna rendersi conto che le industrie del settore divengono necessarie per trovare rimedi sicuri efficaci e possibilmente alla portata di tutti per contrastare questo nemico invisibile. Bisogna tener conto che la ricerca scientifica costa molto sia in termine di denaro che di intelligenze coinvolte e non sempre una intuizione o una linea di ricerca porta a risultati spendibili, magari si trovano soluzioni dannose per l’uomo e quindi non si possono utilizzare…e scelte governative che tagliano fondi alla sanità, all’istruzione, certo non aiutano. Sono fasi molto complesse e a volte hanno bisogno di tempi lunghi per garantire la sicurezza. In mancanza di informazione precisa e scientificamente corretta al personale medico si creano vuoti che mettono a rischio la salute. La complessità, la varietà delle possibilità di fare ricerca è molta con variabili impensabili se non si cerca… la scienza progredisce anche con i fallimenti ma ci si deve rendere conto che questi costi vanno sostenuti, non possono essere totalmente gratuiti: i ricercatori hanno famiglie che devono vivere, perché le star dello sport, del cinema guadagnano moltissimo ed un ricercatore che mette a disposizione il suo genio per il progresso ed il bene dell’umanità deve fare la fame? Quando svolgevo il dottorato lo stipendio era di 600.000 £, l’equivalente di 300 euro e mi veniva dato ogni 6 mesi!! Ma come è possibile che una persona percepisca lo stipendio due volte l’anno, come si può pensare che si viva in questo modo?

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A cosa hai dovuto rinunciare in questo periodo per svolgere al meglio il tuo lavoro?

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Alla mobilità nei viaggi, ad incontrare le persone, alla libertà di spostamento e di organizzazione del lavoro giornaliero, al mio lavoro burocratico svolto nel silenzio della notte, alla visita di amici, parenti.

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Cosa ti ha insegnato questo periodo? un insegnamento che porterai con te dall’esperienza di questi mesi?

 

... che NON andrà tutto bene! Perché migliaia di persone hanno perso la vita, molti nostri conoscenti, amici e parenti sono morti in solitudine, nella solitudine di una corsia, qualche volta avvantaggiati dall’umanità di un infermiere/a che ha fatto una telefonata al figlio/a della signora anziana ricoverata, perché i nostri anziani non sanno usare il cellulare e, se sei un giovane ricoverato in terapia intensiva, in ogni caso il cellulare non lo puoi portare; quindi se siamo fortunati, forse riusciamo a sentire la voce e fare un ultimo saluto, altrimenti, rimane solo il ricordo, l’ultima immagine di quando li hai lasciati sulla barella e li hai visti varcare la porta del pronto soccorso e niente più! vengono avvolti in un lenzuolo bianco, deposti nella bara e non si riesce nemmeno a celebrare un funerale. Siamo tutti nella stessa barca. Un unico grande insieme di persone che svolgono attività diverse ma complementari, se ne manca una le altre soffrono o sono in difficoltà, siamo interconnessi tra di noi anche se non ce ne accorgiamo. Con questo fermo prolungato mi sono resa conto di quante relazioni abbiamo con le altre persone. Mi sono resa conto di quanto è fragile, suscettibile il nostro modo di vivere che sicuramente si dovrà adattare alla nuova situazione, sarà sicuramente una rivoluzione delle routine giornaliere.

Porterò con me il sentimento della fragilità umana nei confronti della natura e dell’universo.

 

Lucrezia Finardi

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