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UN MONDO (NON) UNITO

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Sono Aida, una ragazzina afghana scappata dalla propria terra perché in guerra. Ero partita verso i primi mesi di settembre dell’anno scorso insieme a mia mamma e alcuni suoi amici. Ho attraversato molti Paesi e le difficoltà di questo viaggio sono state tante. Oggi sono in Italia viva e vegeta, mi sono lasciata alle spalle una vita piena di insidie. Ora vado a scuola, seguo le lezioni on line, e mia mamma ha trovato un bellissimo lavoro presso una fabbrica di coperte.

Sono molto felice di essere qui, perché questo Paese mi ha accolta e mi ha trovato una casa, una seconda casa. Vorrei lasciarmi alle spalle il lungo viaggio che ho affrontato, però non è possibile, sono segnata nel profondo, voi non potete nemmeno capire come io mi senta. Per farvelo capire meglio vi racconterò una cosa. Durante le videolezioni la prof di italiano ci ha parlato di un fenomeno molto strano, che io sinceramente nemmeno sapevo esistesse, la globalizzazione. È un fenomeno molto ampio che unifica i mercati a livello mondiale e favorisce la diffusione delle innovazioni tecnologiche e della comunicazione. È un fenomeno ritenuto mondiale, anche se non sono sicura si possa definire così. Molti Paesi ne sono infatti esclusi. Questo l’ho capito guardando e scavando in quello che è il mio passato. In Afghanistan non ho mai sentito parlare di globalizzazione o di innovazioni tecnologiche. Ho quindi capito che l’aggettivo “globale” si riferisce si sì ad un mondo, però non al mondo dal quale vengo io, bensì al mondo dei ricchi, dei potenti, delle grandi nazioni. E gli Stati più poveri? Sono stati cancellati dalla lista dei Paesi del mondo? Sono stati dimenticati? Abbandonati a loro stessi? Ebbe si sì, non solo i progetti mondiali molto spesso non comprendono i Paesi più poveri ma vengono anche isolati attraverso la costruzione di muri, grandi muri. Muri che servono ad isolare delle persone. Degli ostacoli di metallo o di pietra che impediscono alle persone di fuggire da un Paese in condizioni pessime, da un Paese segnato dalla guerra e con essa anche dalla morte, da un Paese povero, come le persone che lo abitano. Durante il mio lungo viaggio ne ho visti di muri, ne ho scavalcati parecchi, o almeno ci ho provato. Ho capito che queste barriere vengono costruite per impedire a noi clandestini di avere una vita migliore o, come si dice qua in Italia, per evitare l’arrivo dei migranti. Sono muri si sì materiali ma anche immateriali, muri “mentali”, muri che fanno dire alle persone: “Sono sbagliato?”. Quando una persona in fuga si trova davanti un muro prima di scavalcarlo si chiede il perché della costruzione di questo. La verità è che io stessa faccio fatica a credere che si dica di essere tutti uguali se poi vengono costruite queste strutture. Se solo queste persone vivessero ciò che ho vissuto io capirebbero perché è così importante per noi scappare. Quindi, che senso ha parlare di globalizzazione se non tutte le popolazioni sono comprese? Probabilmente non ha senso, anzi, sicuramente. State lasciando fuori una parte del mondo che è già di per sé isolata. Afghanistan, Pakistan e altri Paesi come questi sono completamente tagliati fuori. Che senso ha parlare di Agenda 2030 se non si riesce nemmeno ad abbattere un muro?   Che senso ha parlare di pace se è solo per i Paesi più ricchi? Che senso ha parlare di diritti se non tutti li possono avere? Con questo testo vi invito a riflettere. Se foste voi nella mia situazione, cosa fareste? Provo una rabbia immensa. La trovo una mancanza di rispetto escludere alcuni Paesi solo perché poveri o con delle guerre in corso. Prima di parlare di globalizzazione bisogna porre fine alle guerre, alla povertà e alla fame. Bisogna garantire a tutti la salute e l’istruzione, la parità tra sessi e una rete di comunicazione efficace in TUTTO il mondo. Solo quando questo avverrà si potrà iniziare a parlare di globalizzazione e di fenomeni globali. Il futuro dei Paesi è in mano a voi, a noi. Solo essendo uniti riusciremo a conquistare il premio più grande, l’UNIONE.

Riflettete!

Gloria Lanfranchi

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