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LA MIA AVVENTURA PER LE STRADE DELLA VICENZA MEDIEVALE

Sto dormendo, ad un certo punto delle grida mi fanno sobbalzare dalla paura, la mia strana abitazione si trova in una grotta dietro una foresta che, a sua volta, è vicino alla campagna della città di Vicenza, la mia città comunale, ovvero un luogo non governato dal potere di un re o di un imperatore. Ascolto con più attenzione ciò che stanno urlando gli strilloni.

“Boom, boom, boom.

Cittadini, domani, martedì otto febbraio 1201, nella seconda parte della giornata, Antonio Rizzetto, verrà portato a Venezia per venire impiccato perché accusato di aver ucciso la moglie del nostro fidato console Carlo Capra. Pertanto vi informiamo che oggi, da quando il sole si troverà nel punto più alto del cielo il colpevole verrà legato ad un bastone, collocato per l’occasione in Piazza dei Signori fino al   giorno seguente. Vi invitiamo tutti quanti a insultare e umiliare Rizzetto presentandovi nella suddetta Piazza.”

Mi sento tremare dentro, come si può essere così tanto crudeli come i consoli? Prendo un sasso e lo butto nell’angolo della mia “abitazione”. Sam sbuffa, mi sa che gliel’ho lanciato addosso…ops! Sam è il cavallo che avevo rubato ad un borghese, una persona che con il suo commercio è riuscita a guadagnare molto, mentre stava andando a caccia due anni fa e ora è diventato il mio fidato amico. Mi chiamo Filippo, ho 16 anni e sono un fuorilegge nella mia città; le persone più povere, però, mi adorano perché metà dei soldi che riesco a rubare ai più ricchi li regalo a loro. Ora scrivo a mio papà, è partito tre anni fa quando è morta la mamma e non è più tornato. Il mio caro amico è frate Martino, lui va una volta al mese a Costabissara, un feudo governato da Vicenza per aiutare i consoli ad amministrare la giustizia, dove forse vive il mio babbo. Martino dice che sta bene perché porta le mie lettere nel convento dove vanno le persone più povere per cercare cibo e ogni tanto qualcuno le ritira; a volte penso che sia morto, ma cerco di non crederci. Dovrei essere più ottimista! Finisco la lettera e la richiudo, il materiale per scrivere me l’ha dato il mio caro frate quando ha voluto iniziare a insegnarmi a scrivere. Quando ero più piccolo era lui che mi portava il cibo e mi aiutava a vivere. Nascondo la lettera nei miei abiti sporchi: indosso una camicia di lana che dovrebbe essere lunga fino alle ginocchia, ma ormai mi arriva all’inizio della coscia, la veste abbottonata e chiusa da lacci è poco più lunga della camicia, sotto di essa portò diversi stracci perché fa ancora molto freddo, fasce per proteggere le gambe e degli stivaletti rubati e un po’ rovinati. Mi preparo a lasciare la mia strana abitazione, che assomiglia molto di più a una caverna. Mi giro e la guardò facendo una smorfia di disgusto perché formata da un pagliericcio come letto, una rientranza che ho adibito a dispensa chiusa da assi, una zona formata da ceneri spente. È molto difficile creare un fuoco: bisogna preparare un’esca adatta formata da foglie secche, battere la pietra focaia su l’acciarino fino ad ottenere una scintilla e ravvivarla soffiando con una cannuccia. Slego Sam, dal sasso a cui era legato, e lo porto con me. Siamo praticamente già usciti da quel groviglio di siepi e alberi che ci nasconde che la mia pancia si mette a brontolare. No, non posso prendere il cibo che ho messo da parte per guerre e carestie, dovrò recuperare una pagnotta con i pochi soldi che ho.

Dopo che ho trainato Sam attraverso la foresta passando per una campagna con strade rovinate e sporche, arriviamo su una strada più percorribile per il mio cavallo. Lo spingo al galoppo, mi alzo in piedi sulla sua schiena ruvida e apro le mani, mi sento libero! Emetto un urlo eccitato, di libertà. Mentre arrivo all’abbazia di frate Martino incontrò molti commercianti che trasportano le proprie merci, alcuni mi guardano in modo strano e con sospetto. Io mi metto a ridere fino a quando non arrivo alla mia destinazione, inserisco la busta nella cassetta di legno che si trova vicino all’entrata e riparto al galoppo verso la città. All’entrata nascondo e lego Sam ad un albero e mi avvio verso la Piazza dei Signori, per fortuna il sole non ha ancora raggiunto il punto più alto del cielo, non voglio assistere alla tremenda scena di cui hanno parlato gli strilloni. Pago una pagnotta e ne rubo altre quattro da un fornaio, mi muovo per la piazza e noto diverse bancarelle, persone che strillano per vendere la propria merce, pellegrini e lavoratori che camminano velocemente; noto vicino alla strada dei bambini con vestiti rotti e sporchi: staranno morendo di freddo e di fame, mi avvicino e gli donò una pagnotta, faccio la stessa cosa con una vecchietta sdentata. Poi mi avvicino ad un gruppo di dame che ballano e cantano. Molte persone sono radunate intorno a loro, sono più pulite di me e camminano per la piazza con molta tranquillità: sono nobili. Mi faccio strada nella folla ammirando lo spettacolo con interesse. Ad un certo punto il portone del Palazzo della Ragione si apre, mi giro di scatto, il console Vittorio sta varcando la soglia seguito dagli undici consoli che sono in carica da meno di un anno, il tempo massimo per svolgere questo lavoro. Avranno appena finito una riunione perché parlano fitto tra di loro avvicinandosi al piccolo spettacolo che sto ammirando, mi accovaccio in un angolo, ho paura di essere riconosciuto e arrestato. Quando le dame smettono di ballare e cantare il console Vittorio cammina verso una di loro; è più giovane delle altre, quando le è vicino inizia a parlarle, lei rimane zitta, annuisce e basta. Ad un certo punto il console si rivolge alla folla presente e, indicando la ragazza annuncia che venerdì 20 febbraio si sposerà e che tutti i presenti sono invitati (“a parte me” borbotto). Non ha ancora finito di annunciare chi sarà lo sposo di sua figlia che un debole tintinnio fa alzare le teste di scatto a tutti i presenti; il rumore si sta avvicinando, le persone si mettono ad urlare e scappare: sta arrivando un lebbroso. Io rimango nascosto nel mio nascondiglio, dopo qualche secondo un vecchio con una lunga barba appoggiato ad un bastone attraversa la piazza. Ha vestiti sporchi, peggio dei miei e un campanello legato ad una corda annodata al suo collo, ogni suo movimento è stanco e affannato. Il vecchio è quasi entrato in un vicolo buio, sa che i briganti non lo attaccheranno per la paura, ad un certo punto la mia mano inizia a muoversi senza che il mio cervello regoli i movimenti, prendo una pagnotta e gliela lanciò, il poveretto si china per raccoglierla, mi rivolge un sorriso smagliante e sparisce nel buio. Le persone mi guardano incuriositi, decido di andarmene, entro in un vicolo minore sotto lo sguardo sbalordito dei passanti. Sono già praticamente arrivato in Piazza delle Erbe, la seconda piazza principale di Vicenza, dove sarò al sicuro perché conosco dei nascondigli perfetti. Ad un cero punto sento delle grida femminili, nessuno le può udire a parte me, abbasso lo sguardo e vedo la figlia del console Vittorio imprigionata tra le braccia di tre malfattori, forse quando è arrivato il lebbroso si è rifugiata in quel vicolo. L’istinto prende il sopravvento e mi precipito nel viottolo da qui provengono i rumori.  Mi metto davanti alla ragazza, che intanto era stata lasciata dai ladri e prendo la spada mostrandola ai banditi, il più robusto molla la padella che usava come arma e scappa. Gli altri due confusi iniziano a lanciarmi tutte le padelle che avevano preoccupati di essere arrestati, le riesco ad evitare facilmente. Dopo un po’ la scorta dei malviventi finisce e loro scappano via spaventati. Aiuto la dama ad alzarsi, lei emette un flebile grazie e corre verso la piazza.

Il sole ha già superato il punto più alto nel cielo e non ho proprio voglia di sentire cosa sta succedendo in piazza. Mi allontano dal centro e mi accovaccio sul tetto di una casa quasi fuori dalle mura, davanti a me c’è una delle tante Torri dei Loschi, sono delle case-torri in cui i nobili vivono, ma vengono usate anche come torri d’avvistamento. La finestra è aperta e dentro si possono scorgere due sagome, le due ombre iniziano a parlare e io le ascolto. Le voci sono maschili, stanno parlando di Federico Barbarossa: imperatore della Germania e re d’Italia. Suo zio aveva concesso ad alcune città italiane, tra cui Vicenza, di diventare liberi comuni e lo sono ancora adesso. Secondo uno dei due signori il problema è che Federico voleva togliere la libertà ai comuni e, mentre per uno dei due è giusto quello che ha fatto, l’altro approva la vittoria della Lega Lombarda e spera che Vicenza ne possa trarre vantaggio. Sta scendendo la notte, vado a prendere Sam e ci dirigiamo verso “casa” al sicuro da occhi e orecchie indiscrete. Dietro i cespugli e gli alberi che ci nascondono do il cibo al mio cavallo mettendolo vicino a lui per terra, esco un attimo per usare un cespuglio come bagno e ritorno nella mia “abitazione”, dopo qualche secondo mi addormento sulla paglia sognando una vita migliore.

Giorgia Maroli

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