Nella Bergamasca l’emergenza sociale ormai si intreccia a quella sanitaria: «Qui la vicinanza dei figli ha sempre aiutato i vecchi. Ora molte situazioni ci sfuggono di mano». Il confronto tra il totale dei decessi a marzo e lo stesso mese dell’anno scorso
Corriere della Sera
3 Apr 2020
di Armando Di Landro
«A quel tempo in trincea restavano a terra i ventenni, oggi se ne vanno i ragazzini di allora, è giusto parlare di guerra: a marzo ci sono stati più morti rispetto al ’42-’44». Nelle valli di Bergamo il virus ha cancellato una intera generazione. Gli occhi grandi e l’espressione sul viso di chi nella vita aveva già visto tutto ed era pronto ad affrontare con serenità, passo dopo passo, il presente e magari un addio fatto di normalità. Piero Busi era un simbolo della concretezza, in Val Brembana: 86 anni, di cui 59 vissuti da sindaco di Valtorta, con un quinquennio anche da primo cittadino onorario (quando non aveva potuto ricandidarsi perché la legge gli aveva imposto uno stop). Non si aspettava, alla sua età, di dover assistere a qualcosa di mai visto, combattere una guerra contro un nemico chiamato Covid-19. Che l’ha portato nella stanza di un istituto d’assistenza che lui stesso aveva creato e infine l’ha ucciso. Sta scomparendo, nelle valli bergamasche, proprio quella generazione che, ancora bambina, si era asciugata gli occhi dopo il 1945. «A quel tempo in trincea restavano a terra i ventenni, oggi se ne vanno i ragazzini di allora — dice con un’immagine triste Claudio Armati, per 17 anni sindaco di sinistra a Ponteranica, il bel paese tra ville e verde che guarda già ai primi monti alle porte di Bergamo —. Credo non sia più inappropriato parlare di guerra: nel mese di marzo, a Ponteranica, ci sono stati più morti rispetto a tutto il 1942 o al 1944, per fare due esempi, in proporzione alla popolazione residente. Muoiono tante persone che hanno lasciato il segno per i ruoli che hanno ricoperto, ma anche lavoratori e semplici pensionati». Muratori, operai, ambulanti, camionisti che in Val Seriana avevano trovato lavoro man mano che crescevano le aziende tessili, esportatrici in tutto il mondo: come quel Franco Orlandi, 83 anni, di Nembro, che fu ricoverato all’ospedale di Alzano Lombardo già il 15 febbraio ma venne a sapere di essere positivo soltanto otto giorni dopo, 48 ore prima di morire. Aziende diventate colossi, come Radicigroup, dove aveva lavorato anche Giorgio Valoti: morto a 70 anni, anche lui ucciso dal coronavirus. Era il sindaco leghista di Cene, il primo comune conquistato in Italia dalla Lega di Umberto Bossi. Gli ha reso omaggio Salvini, l’hanno salutato anche gli avversari della Val Seriana, riconoscendogli una sensibilità che sapeva andare oltre i colori di partito. Ad Albino Giambattista Carrara, che doveva ancora compiere i 70 anni, era stato elettricista in Comune. Pensionato dal fisico robusto, alto, era attivo nella banda, da volontario: sabato scorso è stato caricato d’urgenza su un’autoambulanza. «È successo — racconta il sindaco Fabio Terzi — mentre assistevo alla sanificazione della casa di riposo da parte dei militari russi. Pochi giorni dopo abbiamo saputo che è morto». Scomparso come Luigi Carrara, di 86 anni, e la moglie Severa Belotti, di 82, che facevano funzionare l’oratorio nella frazione di Fiobbio: deceduti tutti e due lo stesso giorno a poche ore di distanza. Un elenco infinito di storie toccanti. Ma anche di morti nascoste, in solitudine nelle case di riposo. Nelle Residenze socio assistenziali bergamasche sono stati stimati 600 decessi in un mese e dieci giorni, circa il 10% degli assistiti. Particolarmente colpita la Rsa di Zogno, in Val Brembana, dove sono morti almeno trenta ospiti. E in quasi tutte la scelta è stata di chiudere alle visite dei parenti. «Oltre le strutture, però, resta un problema di solitudine nelle case, sul territorio — dice Orazio Amboni, della Cgil —. A Bergamo e nel Nord Italia in generale, la rete familiare, e cioè la vicinanza dei figli, ha sempre aiutato gli anziani. Ma ora il problema si sta accentuando». Come testimonia il volontario Giulio Beolchi, che consegna pasti a domicilio ai pensionati nei quartieri di città: «Fino a un mese fa gli utenti erano circa trecento, alcuni sono anche deceduti. E ora siamo arrivati a quattrocento, cioè a un incremento del 30 per cento di chi sta chiedendo aiuto perché ha paura, e per evitare il rischio del contagio non se la sente più di andare a fare la spesa». Paola Terzi, assistente sociale in alta Val Seriana, conferma: «Riusciamo a prevenire la solitudine, che è un dramma nel dramma, soltanto quando gli utenti più anziani richiedono certi servizi, come la consegna dei pasti. Ma è noto che troppi casi, purtroppo, stanno sfuggendo». Troppe vite spente che hanno dato ai bergamaschi la dimensione della tragedia e, ben presto, l’idea che i conti non tornassero rispetto ai numeri ufficiali della Regione Lombardia. Il virus ha colpito prima di diventare «ufficiale», anche perché, con il passare dei giorni e l’aggravarsi dell’emergenza, i parametri applicati per il trasporto e il ricovero in ospedale, e quindi per procedere al test, sono diventati sempre più stringenti: saturazione molto bassa e difficoltà respiratorie già preoccupanti, con un «sommerso» di contagiati, e decessi, enorme. Ma i conti, forse, tornano adesso, dopo una proiezione del Corriere Bergamo basata sui dati anagrafici di 25 Comuni, con una copertura di 400 mila abitanti su un totale di un milione in tutta la provincia: la stima indica 5.021 decessi in più a marzo di quest’anno rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, più del doppio dei 2.226 ufficiali. E un’altra indagine dell’agenzia Intwig per l’eco di Bergamo, sullo stesso periodo, parla invece di 4.500 morti. È come se fosse scomparso un paese medio-piccolo, tutto intero. «Questa epidemia ci ha probabilmente trovati impreparati e ha evidenziato l’importanza di avere dati in tempo reale, che avrebbero consentito alle istituzioni scelte più rapide — commenta Aldo Cristadoro, fondatore di Intwig —. L’analisi evidenzia che ci sono stati molti decessi nelle case di riposo, o di anziani soli. E abbiamo anche stimato che il contagio può riguardare circa 288 mila persone in provincia di Bergamo, un quarto della popolazione». L’analisi Cristadoro: «Il contagio può riguardare 288 mila persone, cioè un quarto degli abitanti» d Bisognava fare la zona rossa subito Invece abbiamo rincorso le misure. C’è stata una difficoltà a capire il fenomeno
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